21Mar2025

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Categoria: Storia di Gela

Alcune pillole di storia della Città di Gela, piccole ed interessanti.
Storia di Gela

Tetradrammo in argento di Gela

seconda meta` del V secolo a.C .
Boston Museum of Fine Arts
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Storia di Gela

Statuetta in Pietra Di III Sec. a.C. .

Atleta.
Provenienza Gela , attualmente si trova al Museo dell’Università Catania.
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Storia di Gela

L’ASSASSINIO DI CLEANDRO

Era il 505 a.C. La sua ascesa era stata rapida, ma non priva di avversità. Il popolo, stanco dell’aristocrazia, lo acclamava perché aveva garantito il minimo sostentamento e mantenuto il patto fondativo tra le popolazioni della Polis. Ma gli aristocratici lamentavano i torti subiti: Cleandro aveva confiscato e riassegnato alcuni lotti di terra, colpendo in particolare le famiglie più potenti.
Cleandro era stato avvisato dall’oracolo: «Il tuo più grande nemico non è la spada, ma la parola.» Eppure, incapace di cogliere il monito, ignorava le voci che si diffondevano nell’ombra.
Ignaro del veleno che si accumulava attorno a lui, trovava rifugio nel suo passatempo preferito: il teatro. Qui, tra le tragedie, cercava sollievo e riflessione, accompagnato dal fratello Ippocrate, con cui condivideva le gioie e le ansie del potere. Ma quel luogo di svago stava per trasformarsi nel palcoscenico del suo tragico destino.
Seduto tra le poltrone di legno, Cleandro sentiva l’eco delle sue stesse ambizioni risuonare nell’aria. Ma dietro le quinte, la congiura era già in atto.
Sabello, un noto aristocratico, si muoveva furtivo tra le ombre, sussurrando ai suoi confratelli e seminando discordia. Il suo odio per Cleandro era palpabile, alimentato da anni di frustrazione e disprezzo. Mentre le tragedie si susseguivano sul palco, Sabello decise che era giunto il momento di agire.
Con un gesto fulmineo, si avvicinò a Cleandro, il cuore pulsante di determinazione e vendetta.
«Ἐλευθερία ἢ θάνατος, αὕτη ἐστὶν ἡ τέλος τῶν τυράννων!» ¹ gridò, affondando un pugnale tra le costole del tiranno.
Il pubblico, inorridito, esplose in urla e confusione, mentre Sabello si dileguava tra la folla, come un’ombra che si dissolve all’alba.
Ippocrate, scosso dalla violenza improvvisa, afferrò il corpo del fratello tra le braccia. La vita di Cleandro stava svanendo e nei suoi occhi si leggeva ancora la determinazione di un uomo che aveva cercato di governare con giustizia, ma che era stato tradito dalla sua stessa ambizione.
«Ἀδελφέ,» ἐψιθύρισεν ὁ Κλέανδρος, «ἀπόλεσον τὰ σάπια μῆλα καὶ φέρε τιμὴν τῇ ἡμετέρᾳ οἰκίᾳ.» ²
Con queste parole, Cleandro spirò.
Ippocrate gli chiuse gli occhi e, con il cuore colmo di furia, si mise alla ricerca di Sabello. La sua vendetta sarebbe stata spietata. Nessuno sarebbe stato risparmiato…
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Storia di Gela

Testina Fittile Di Cavallo

V secolo a.C .

Provenienza Gela, attualmente si trova a Londra ,British Museum.

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Storia di Gela

LA FESTA DEGLI ALBERI , Una tradizione tramontana

Veniva celebrata ogni anno e sempre in uno scenario diverso: ora le dune di «Bitalemi», ora la pendice di Piazza Calvario, ora il pianoro di Scavone, ora la vallata di Disueri… Vi partecipavano i giovinetti delle scuole, lieti di uscire dalle aule del loro studio giornaliero per accostarsi alla natura e piantare nelle zolle rugiadose un alberello: un alberello che sarebbe cresciuto vigoroso, frondoso, «carico di musica sotto le dita del vento» (Drouet)…
E c’era sempre un oratore che da un poggio erboso o da un rudimentale palco illustrava con sentimento e dottrina i doni che l’albero prodiga all’uomo all’uomo non sempre riconoscente, non sempre suo amico. L’oratore era generalmente persona eminente per cultura e umanità, come l’autore del brano che qui riportiamo stralciandolo da un suo discorso : … Se dovessi dirvi quale spettacolo o forma di paesaggio abbia piú insospettatamente colpito i miei sensi e il mio animo, saettandoli e circonfondendoli di sensazioni vive, violente, dolcissime, conquidendomi e incatenandomi, come in un sublime e purissimo amplesso, io vi confesserei: il bosco.
Io crebbi fino alla mia adolescenza dinanzi a questa pianura fertile, ma desolata d’acque, d’ombra e di verde. Vedevo innanzi a me stendersi fino alla cerchia dei monti, brulli all’intorno, la vasta pianura informe, smaltata di verde in primavera, biondeggiante di spighe nel luglio, deserta e brulla nel resto dell’anno. Non un albero, non un agitarsi e uno stormire di fronde, non la voce melodiosa di un uccello tra il fitto fogliame. Saettata inesorabilmente dal solleone, sferzata dai venti.
Non amai fino allora la campagna.
Ma quando per la prima volta, lontano di qui, lasciai la polvere di uno stradale, per inoltrarmi in un bosco, un brivido di piacere mi percorse le vene, un senso nuovo di benessere mi invase; sentii allora che la natura è inesauribile nei suoi doni, nelle sue bellezze, nei suoi piccoli o grandi misteri. Sentii allora come non fossero vane fantasie di poeti, ma divina poesia e sublime realtà insieme, l’ombra, la frescura, il mistero dei bo-schi, le mille voci che li animano, le mille dolcezze che infondono.
Da allora amo gli alberi, teneramente, fraternamente, di un amore
francescanamente fraterno…
Giovanni Mela*
Tratto da ‘’Storie e usanze popolari di Gela’’ di Virgilio Argento
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Storia di Gela

La fondazione della nuova città

Se nessun dubbio mette in discussione l’origine federiciana di Eraclea-Terranova, nessuna fonte letteraria né alcun documento ufficiale contemporaneo ci dà notizia della fondazione, né ci fornisce l’anno in cui essa avvenne, contrariamente a quanto sembra si possa dire di Augusta. Solo nel 1725 Francesco Aprile riferisce che Terranova fu fondata nell’anno 1233 senza indicare la fonte da cui l’ha appreso, per cui non ci resta che verificare la fondatezza di tale data ricercandola in documenti posteriori nel quadro del contesto storico-geografico in cui l’avvenimento si svolse.

Anzitutto osserviamo che Federico II di Svevia si era dovuto occupare del territorio fin dai primi anni del suo regno, quando aveva dovuto togliere la contea di Butera a Pagano de Parisio (1213), in quanto alleato del ribelle Gualtiero di Pagliara. È da ritenere poco probabile che egli l’abbia visitato personalmente in quell’occasione, ma non si può escludere che l’abbia fatto dieci anni più tardi, tra il 1223 e il 1225, quando, dopo la dieta di Messina, il suo esercito attraversò tutta la Sicilia, da Messina a Catania, a Caltagirone, ad Agrigento, a Palermo, per sottomettere i Saraceni ribelli e deportarli a Lucera.

In ogni caso, nel dicembre del 1233, dopo avere soffocato la rivolta di Messina, Catania, Siracusa, Nicosia, Troina, Montalbano e dopo avere raso al suolo Centuripe e Troina, egli si recò a Butera, come dimostra una lettera da lui indirizzata a papa Gregorio IX, e da lì è facile arguire che abbia potuto fare una puntata sulla collina di Gela. Il documento non fa alcun cenno alla costruzione della nuova città, come del resto nessun altro documento diplomatico di Federico, ma il fatto che egli si trovasse lì in quell’anno aggiunge un tassello a sostegno della data di fondazione indicata da F. Aprile.

Inoltre, ci sono due documenti posteriori, l’atto notarile del vescovo di Patti del 1249 e il diploma di Carlo d’Angiò del 1274, che confermano il 1233 come data di fondazione della città e fanno ritenere che egli si fosse recato a Butera o per ispezionare i lavori in corso o addirittura per inaugurarli. Il primo, rogato mentre Federico era ancora vivo, riferisce il nome di colui che ebbe la gestione finanziaria della costruzione, e cioè il “secreto” (una specie di ministro delle finanze) di Sicilia Matteo Marchiafava (Marclafaba), che tenne tale incarico proprio dal 1233 al 1239; il secondo, oltre a precisare che la fondazione era avvenuta prima che Federico II fosse deposto (17 luglio 1246) dal papa Innocenzo IV (ante depositionem eius de novo fundans terram ipsam), ci fornisce anche il “terminus a quo” (ab annis quadraginta circa), che riporta la fondazione della città, seppure con l’approssimazione che quel circa suggerisce, di nuovo al 1233.

Ma i due documenti sono ancora più importanti perché ci forniscono informazioni ben precise sull’organizzazione dei lavori di costruzione e sui metodi seguiti dall’imperatore per popolare una città di nuova fondazione. Infatti, il diploma di Patti ci tramanda non solo il nome di colui che organizzò e diresse almeno nei primi sei anni i lavori di costruzione di Eraclea, il secreto Matteo Marchiafava, ma anche il nome di almeno uno dei costruttori, o meglio degli imprenditori che provvidero all’edificazione delle abitazioni della città e alla messa a coltura delle campagne.

Si tratta di Pietro Ruffo, che al momento della sottoscrizione dell’atto (1249) risulta priore del ricco convento di Terrana, esistente allora tra Caltagirone e il fiume Dirillo, e che è da ritenere persona diversa, anche se con omonimia evidente, dall’omonimo maestro stalliere che l’anno dopo avrebbe assistito Federico II in punto di morte e che, divenuto poi maestro giustiziere di Sicilia e di Calabria, si sarebbe opposto a re Manfredi e sarebbe stato…

Al tempo in cui si era cominciata a popolare Eraclea (tempore quo Heraclea habitari incepit), Pietro Ruffo

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Storia di Gela

Eschilo

Eschilo nacque ad Eleusi nel 525 a.C, città a 20 km da Atene. (e demo considerato territorio di Atene)
Partecipò alle guerre persiane, fu attore, musicista ma soprattutto un grande tragediografo.
Eschilo è da sempre considerato il padre della tragedia greca che apportò molte innovazioni e modifiche nella rappresentazione delle tragedie oltre che nella loro composizione.
E tra le mutazioni apportate allo schema della tragedia, si sottolineano l’introduzione del secondo attore, il dialogo e infine i componenti del coro greco, vengono diminuiti a dodici .
Anche la lingua dell’epoca assume un nuovo tono.
Attraverso le sue tragedie, Eschilo interpreta il mondo che lo circonda e i suoi contemporanei con i loro dubbi, aspirazioni, passioni, riflessioni e problematiche.
Tema costante è dunque il rapporto tra l’uomo, essere razionale e responsabile, e le divinità che rappresentano il fato. Così ,l’uomo sembra essere fautore del proprio destino e libero nelle sue azioni e scelte, mentre a volte è assoggettato a una forza superiore per cui l’uomo è una pedina nelle mani degli dei.
Sono proprio le divinità, secondo la visione religiosa del tragediografo, che alla fine fanno trionfare la giustizia nel mondo.
La principale opera mai scritta è l’Orestea: una trilogia composta dall’ Agamennone, Coefore ed Eumenidi. Un’ opera che ci è giunta per intero.
Delle circa novanta opere da lui scritte, solo sette ci sono pervenute, e non tutte complete.
Dopo le vittorie contro i Persiani, contrariato dagli sviluppi politici, Eschilo si trasferì a Gela, dove morì nel 456 a.C, perché, cosi’ come narra la leggenda,fu colpito da una testuggine lanciata in volo da un’aquila che scambiò la testa pelata di Eschilo per una roccia.
L’Orestea è la trilogia più famosa di Eschilo, presentata per la prima volta nel 458 a.C., che racconta la tragica storia della casa di Atreo e si concentra in particolare sulle vicende di Agamennone, sua moglie Clitemnestra e i loro figli, Oreste ed Elettra. È una narrazione potente che esplora il tema della giustizia e della vendetta, il conflitto tra obbligo personale e leggi divine, e il passaggio dalla vendetta privata a un sistema di giustizia pubblica..
Agamennone
Nella prima parte, Agamennone torna dalla guerra di Troia, accolto con grande apparente calore da Clitemnestra. Tuttavia, l’accoglienza nasconde una terribile vendetta: Clitemnestra, furiosa per il sacrificio della figlia Ifigenia, lo uccide insieme al suo amante Egisto. In questa tragedia, Eschilo esplora la tensione tra l’amore materno e il potere politico, poiché Clitemnestra non uccide solo come madre vendicatrice, ma anche come regina che desidera mantenere il controllo sul potere.
Le Coefore
Nel secondo dramma, il figlio di Agamennone, Oreste, ritorna a Micene su ordine del dio Apollo per vendicare l’assassinio del padre. Insieme alla sorella Elettra, trama per uccidere la madre Clitemnestra e l’amante Egisto. Il momento culminante del dramma è quando Oreste, dopo aver ucciso Egisto, si trova di fronte a sua madre e, sebbene esitante, la uccide. Questo atto scatena però le Erinni, antiche divinità della vendetta, che iniziano a perseguitare Oreste, rendendo esplicito il conflitto tra le leggi divine e gli obblighi familiari.
Le Eumenidi
Nell’ultima parte della trilogia, Oreste è tormentato dalle Erinni per il matricidio e cerca rifugio presso il tempio di Apollo, che lo manda ad Atene per essere giudicato. Qui, Atena interviene e istituisce un processo per decidere il destino di Oreste. Il processo si conclude con un verdetto di assoluzione per Oreste, ponendo così fine alla spirale di violenza e vendetta. Le Erinni, placate, accettano di trasformarsi nelle Eumenidi, divinità benevole che proteggono la giustizia.
L’Orestea è profondamente innovativa per la sua epoca. Non solo racconta la storia di una famiglia segnata dal destino e dalla violenza, ma riflette anche su temi sociali e politici cruciali per il tempo di Eschilo. Il passaggio dal dominio delle vendette private alla nascita di un sistema di giustizia pubblico e imparziale è il nucleo dell’opera. In un certo senso, l’Orestea celebra il ruolo di Atene come centro di una nuova forma di civiltà, in cui il caos della vendetta primordiale è sostituito dall’ordine della legge e della giustizia.
L’opera esamina l’intricato legame tra giustizia e vendetta, e la sua risoluzione suggerisce che solo un sistema di giustizia istituzionalizzato può portare pace e stabilità in una società
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Storia di Gela

Telemaco

Telemaco, capostipite degli Emmenidi di Akragas (Agrigento), era originario di Gela. Secondo le fonti storiche, i suoi genitori erano di Gela, e Telemaco stesso è considerato una figura importante nella storia della città di Akragas, dove il suo lignaggio, gli Emmenidi, divenne prominente.
Telemaco di Akragas è una figura storica e mitologica della Sicilia antica, noto per essere il capostipite della dinastia degli Emmenidi, che governò Akragas (l’odierna Agrigento).
Telemaco è anche associato a storie e leggende che collegano la sua famiglia a eventi significativi della storia siciliana. Tuttavia, molte informazioni su di lui possono essere mescolate con tradizioni mitologiche, rendendo difficile discernere i fatti storici dalle narrazioni leggendarie.
I tiranni della dinastia degli Emmenidi ad Akragas (Agrigento) erano membri di una famiglia aristocratica che esercitò un notevole potere politico nella città durante il periodo della sua massima espansione, tra il VI e il V secolo a.C.
Tra i più noti tiranni della dinastia degli Emmenidi ci sono:
Falaride: Spesso considerato il primo tiranno della dinastia, Falaride regnò nel VI secolo a.C. ed è famoso per il suo governo autoritario e per la costruzione di opere pubbliche. È noto anche per le sue cruente pratiche punitive, che hanno dato luogo a leggende su di lui.
Terone: Un altro importante tiranno, Terone regnò dopo Falaride e contribuì a rafforzare il potere e la prosperità di Akragas. Sotto il suo governo, la città raggiunse un apice di sviluppo culturale e architettonico.
Sibari: Anche se meno conosciuto, un altro membro della dinastia, Sibari, è citato in alcune fonti storiche.
Questa storia contribuisce a rivelare che due tra le più potenti dinastie della storia, cioè gli Emmenidi di Akragas e i Dinomenidi di Gèla sono entrambe originarie della stessa Polis e dalla stessa cultura geloa.
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Storia di Gela

Polizelo, Tiranno di Gela

Polizelo fu tiranno di Gela dal 478 a.C. fino alla morte. Polizelo era figlio di Dinomene il Vecchio, e fratello minore dei due dinomenidi Gelone e Gerone I, tiranni di Siracusa.

Ancora prima di diventare tiranno di Gela, il suo nome venne inciso nel tripode che commemorava la vittoria di Imera del 480 a.C., da sempre attribuita al solo Gelone. La menzione del fratello è quindi un dettaglio importante che conferma una sua partecipazione alla battaglia.

Divenne tiranno di Gela nel 478 a.C. quando morto Gelone e lasciato al potere Gerone a Siracusa, a lui venne lasciata in eredità la mano di Damarete, sposa di Gelone. Polizelo, odiato da Gerone, sostenne con lui una guerra a cui si pose fine grazie alla mediazione del poeta Simonide.

Secondo Diodoro Siculo nel 476-5 a.C. Polizelo fu inviato dal fratello Gerone in soccorso dei Sibariti, in uno dei tentativi di tornare nella loro sede originaria dopo la distruzione di questa nel 510 a.C. da parte dei Crotoniati.

Successivamente donò al santuario di Apollo a Delfi un gruppo statuario bronzeo raffigurante un cocchio con cavalli e auriga (conosciuto come “l’Auriga di Delfi”), in memoria di una vittoria riportata nei Giochi Pitici del 474 a.C.

Non è noto quando sia morto Polizelo, ma dev’essere stato prima della morte di Gerone, dato che a questi in qualità di tiranno di Siracusa succedette il fratello minore Trasibulo.

L’Auriga di Delfi è una scultura greca bronzea databile al 475 a.C. e conservata nel Museo archeologico di Delfi.

Rinvenuta negli scavi del santuario di Apollo a Delfi, faceva parte di una quadriga, commissionata da Polizelo (Polizelo di Dinomene), tiranno di Gela, forse per ricordare una vittoria ottenuta nella corsa coi carri, nel 478 o 474. Venne rinvenuta poiché sepolta da una caduta di massi dalle rupi Fedriadi nei pressi di dove era collocata.

L’autore della statua è sconosciuto; l’ipotesi più probabile è che sia opera di Sotade di Tespie o di Pitagora di Reggio.

La statua era collocata su un carro trainato da cavalli, del quale si conservano solo pochi frammenti. Lo stato di conservazione è ottimo, anche se è mancante del braccio sinistro. Venne fusa a pezzi in bronzo spesso, perché più resistente all’esposizione alle intemperie, con rifiniture eseguite a freddo: col bulino e con applicazioni di argento per la benda (“tenia”), rame per le ciglia, pietra dura per gli occhi.

L’auriga veste un lungo chitone cinto in vita, pesante, scanalato, rigido quasi a costruire una colonna; nella mano destra tiene delle redini; il volto è leggermente rivolto a destra. Attorno al capo la tenia del vincitore, con decoro a meandro e incrostazioni di rame e argento. I capelli sono finemente disegnati, in riccioli che non alterano le dimensioni del capo. Lo sguardo è intenso e vivo, con la tensione competitiva appena leggibile, stemperata dall’atteggiamento sorvegliatamente misurato del corpo.

I piedi sono resi con una naturalezza fresca e precisa, molto veristica: mostrano infatti i tendini tesi per lo sforzo appena compiuto.

Nessuna statua pervenutaci lontanamente rassomiglia all’auriga: solo alcuni esemplari ritrovati nella Magna Grecia similmente e sommariamente ci ricordano il modello di Delfi. È soprattutto nel volto che si concentra la singolarità di questo bronzo: legato alla bellezza ideale, dotato di tratti particolarissimi, è possibile che sia stato sviluppato a partire da un volto individuale.

Nonostante la statua sia evidentemente legata ai moduli arcaici, essa è percorsa da un vigore innovativo. L’Auriga di Delfi come il celebre Cronide di Capo Artemisio sono da considerarsi appartenenti allo stile severo, sviluppatosi in Grecia tra il 480 e il 450 a.C. Inoltre , una copia dell’Auriga di Delfi è ospitata a Gela nel quartiere di Macchitella.

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Storia di Gela

Ippocrate , Tiranno di Gela

Ippocrate, fratello di Cleandro, fu un importante tiranno della città siciliana di Gela nel V secolo a.C. Sebbene meno noto rispetto al più famoso medico omonimo, questo Ippocrate fu una figura di rilievo nella politica e nelle guerre siciliane dell’epoca.

Ippocrate proveniva da una famiglia aristocratica di Gela, una delle principali colonie greche in Sicilia. Suo fratello Cleandro fu tiranno della città, e alla sua morte, intorno al 498 a.C., Ippocrate gli succedette al potere.

Il suo regno è collocato in un periodo turbolento, caratterizzato da lotte tra le varie città greche di Sicilia, come Siracusa, Agrigento e Messina, e dalle incursioni delle popolazioni autoctone dell’isola, come i Siculi e i Sicani.

Ippocrate fu un leader aggressivo e ambizioso, che perseguì una politica espansionistica per estendere il controllo di Gela su gran parte della Sicilia orientale. Sotto il suo governo, Gela divenne una potenza regionale e fu coinvolta in numerosi conflitti. Egli riuscì a conquistare diverse città vicine, tra cui Leontini, Nasso e Zancle (l’odierna Messina), che divenne una delle sue conquiste più importanti.

Si dice che Ippocrate avesse cercato anche di attaccare Siracusa, ma la sua avanzata fu fermata dall’intervento di Corinto e Corcira (l’odierna Corfù), che proteggevano Siracusa per ragioni politiche e commerciali. Nonostante ciò, Ippocrate riuscì a ottenere un’indennità e il controllo su alcune città minori della Sicilia orientale.

Ippocrate morì intorno al 491 a.C., durante una campagna militare contro i Siculi. La sua morte segnò una fase di transizione per Gela. Come detto, fu seguito da Gelone, che riuscì a mantenere il controllo della città e successivamente a conquistare Siracusa, consolidando così il dominio siceliota greco nella regione.

Anche se meno ricordato rispetto ad altri tiranni siciliani, Ippocrate svolse un ruolo cruciale nello sviluppo politico della Sicilia greca, trasformando Gela in una delle città più influenti dell’isola e aprendo la strada all’espansione di Siracusa sotto il governo di Gelone.