scritto da Catania A. Eugenio
si ripropone un documento del gruppo di 9 mesi fa!
La città di Gela, nel 1950 circa, ha venduto la sua anima e
il suo futuro ad un cane con 6 zampe.
Il cane sputa fuoco, ha distrutto tutto quello che
preesisteva alla sua venuta: cultura, artigianato, agricoltura, turismo,
qualità della vita, le testimonianze archeologiche, paesaggi naturali
(dall'abusivismo indotto da uno sviluppo esogeno) e perfino corrotto gli animi
e la morale della gente. Facendo dei gelesi degli ignavi senza ambizioni,
incapaci di progettare o di fare sviluppo, attività che è stata completamente
delegata alla raffineria.
La raffineria detta la politica economica alla Città: è lei
decide i piani di investimenti, è lei che decide quali ditte assegnare i lavori,
è lei decide se un certo reparto deve
essere chiuso, è lei che decide l'uso del porto commerciale. Tutto questo, in
funzione delle sue necessità e non delle necessità della Città e dei suoi
cittadini (e bene sottolinearlo).
I gelesi, si sono abituati a vivere dell'elemosina e non
hanno ne la voglia e ne il coraggio di autogestirsi.
In passato si è pensato che sarebbe stato più utile
sfruttare ancora per qualche anno il “demonio”, ma diversamente: per fare del bene,
per risarcire la Città facendo infrastrutture ed opere di sviluppo.
Ma, si può fare del bene, sfruttando qualcosa di malvagio?
Questo è un interrogativo interessante e noi abbiamo il risultato
di questo scellerato tentativo, quindi dovremmo aver capito che bisogna
arrivare a maneggiare certe “forze economiche” quando la società è matura per
capire ed esprimere la giusta classe dirigente (ed anche la presenza di uno
Stato davvero rappresentativo dei cittadini e non come socio della
multinazionale).
Se questo non bastasse, il modello di sviluppo del cane a 6
zampe è un modello di sviluppo con un trend in negativo. Il polo industriale
non effettua più utili tramite la raffinazione, ma attraverso la vendita dell'energia
elettrica all'Enel, creata bruciando un rifiuto speciale (a Gela c'è l’unico
termovalorizzatore siciliano).
C’è bisogno di un cambio strategico nel nostro sviluppo, ma
la Raffineria ci fa rimanere attaccati ad un modello economico decadente e
privo di futuro. Fino a quando ci sarà la Raffineria a Gela: non si potrà
investire sul turismo, non si potrà assistere ad un risveglio culturale, non si
potrà investire sull’agricoltura e non si potrà avere un Consiglio Comunale che
faccia veramente gli interessi della Città.
Sarebbe l’ora di ricordare che il sito di Gela è stato
determinante per le politiche energetiche nazionali, per consentire all'AGIP di
non essere liquidata e così garantire alla “Nazione Italia” di avere una politica
energetica indipendente rispetto alle altre potenze. Questo è il momento di far
vedere il senso dello Stato italiota e risarcire la Città di Gela di questo
sacrificio, mettendo a disposizione i fondi per la dismissione graduale e la
bonifica dell'aria del petrolchimico e il finanziamento di un nuovo modello di
sviluppo basato su: agricoltura, turismo, artigianato, rinnovabili,
infrastrutture portuali e ferroviarie ed università.
Questa volta, però, devono essere i gelesi (e gli abitanti
dei Comuni Limitrofi) a ideare un nuovo piano di sviluppo e non farci imporre
un qualcosa che non corrisponda alle potenzialità del nostro territorio. Non
essendo egoisti e a pensare ad uno sviluppo per tutta l’area di cui facciamo
parte, evitando di accentrare ma di sviluppare le peculiarità dei singoli
territori, condividendo competenze e risorse. Perché la Città di Gela non può
continuare a guardarsi l’ombelico, ha l’obbligo di uscire fuori dai suoi
confini cittadini e di dare risposte anche ai Comuni Vicini che aspettano che
Gela si sveglia dal suo torpore.
La politica locale invece, si affanna per cercare di
rimanere aggrappata a questo modello di sviluppo (moribondo) che ha assicurato
voti, clientele e ingenti risorse finanziarie (a privati ed enti pubblici).
D’altra parte come dargli torto!
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