venerdì 27 marzo 2015

di Giuseppe La Spina - Triskelion Archeology 


 trascrizioni: Eraclea-Terranova saccheggiata dai pirati saraceni, Privilegio di Re Martino I concesso agli abitanti di Eraclea-Terranova
-Successione dei signori di Eraclea - Terranova
- Il simbolo più antico di Eraclea-Terranova ritrovato sulle documentazioni della città
-Grafico sviluppo demografico della città dal 1233 al XVIII sec.
Il territorio di Eraclea-Terranova (Gela) : delimitazione e infeudamento
Ma quali furono le terre assegnate ai coloni, quale il territorio attribuito alla nuova universitas hominum ?.
Finora non si era avuta notizia di fonti ufficiali che riportassero la delimitazione del territorio di pertinenza di Eraclea, in quanto i documenti finora conosciuti, e cioè l'atto notarile del vescovo di Patti del 1249 e il diploma di Carlo d'Angiò del 1274, non riportano i confini del territorio concesso alla nuova città, nè vi fanno alcun riferimento, e in analogia a quanto contenuto nel presunto diploma federiciano di fondazione di Augusta del 1231, che parla di ampliamento del territorio della nuova città a spese di baroni e cittadini di Siracusa che per ciò erano stati risarciti "equilaventi excambio", salvo poi a tentare più tardi di rientrare in possesso delle terre perdute, si era ritenuto di poter concludere che le terre assegnate ai "novi habitatores" di Eraclea fossero state sottratte agli abitanti delle città vicine, Butera, Grassuliato, Caltagirone e Ragusa e "alcuni altri che non sono nè francesi nè provenzali", interpretando le molestie arrecate da essi ai nuovi coloni, secondo il citato diploma di Carlo d'Angiò del 1274, come un tentativo di costoro di riprendersi il territorio che nel 1233 era stato tolto per assegnarlo alla nuova città.
Tale tesi è stata contrastata facendo osservare che nei documenti che fanno riferimento alla fondazione di Terranova non c'è nulla che autorizzi a pensare una cosa del genere, in quanto nel documento di Carlo d'Angiò, che è la risposta a un ricorso degli Eracleesi contro gli abitanti delle città vicine che spesso sconfinavano sulle loro terre, viene ricordato che Federico II aveva distribuito agli abitanti della nuova città appezzamenti di terre incolte (terrarum vacuarum), per i quali essi dovevano pagare in cambio annualmente certum ius, e si afferma che, poichè essi hanno regolarmente pagato il canone, hanno diritto a fruire liberamente del territorio loro assegnato e di essere lasciati in pace.
Di conseguenza da tali documenti si può dedurre soltanto che il territorio assegnato alla nuova città era compreso tra quello di Ragusa (che allora arrivava al fiume Dirillo, non esistendo ancora Vittoria e Comiso), quello di Caltagirone (che allora comprendeva anche il territorio di Niscemi non ancora nata), quello della contea di Grassuliato (che nel XV secolo passerà ai signori di Mazzarino) e quello della contea di Butera (il cui territorio anche allora arrivava alla foce del torrente Comunelli, che usava come approdo) e che l'area compresa tra tutti questi centri abitati era di demanio regio e, poichè era incolta ed abbandonata da secoli, gli abitanti di tali centri abitati ne avevano usufruito liberamente considerandola terra di nessuno, sicché è probabile che dopo la fondazione della nuova città abbiano semplicemente continuato a sconfinare in un territorio che era stato assegnato ai nuovi coloni.
Ma del diploma di Carlo d'Angiò del 1274 noi abbiamo notizia solo da un transunto riportato nei Registri Angioini già conservati nell'Archivio di Stato di Napoli, mentre l'archivio Pignatelli custodito nello stesso Archivio di Stato ci ha conservato una copia notarile del 1421, presentata per la conferma del privilegio a re Alfonso d'Aragona, della sentenza del 4 settembre 1276, con la quale il Vicario Generale di Sicilia e Maresciallo del Regno Adam Morrier, su incarico di re Carlo I, definiva i confini del territorio di Eraclea per chiudere la vertenza sorta anche con gli abitanti del casale di Dirillo (oggi Acate), che probabilmente al tempo di Federico II non esisteva.
Nulla autorizza a pensare che si tratti di un falso, soprattutto se si bada al contesto storico in cui gli abitanti di Eraclea-Terranova (Gela) sentirono il bisogno di sentirsi tutelati nel godimento del loro spazio vitale, la prima volta (1274) dopo la serie di guerre e disordini seguiti al passaggio della Sicilia dagli Svevi agli Angioini, la seconda (1421) quando cominciavano a riprendersi dalle distruzioni e dai saccheggi subiti dai pirati barbareschi nei decenni precedenti.
La prima cosa che colpisce di tale documento è la rinnovata affermazione che gli abitanti di Eraclea vennero ad abitare la città al tempo e su mandato dell'imperatore Federico II (tempore quo homines eiusdem terre de mandato friderici, olim romanorum imperatoris, ad habitacionem ispius terre se contulerunt), il che toglie ogni residuo fondamento alla tesi che la collina fosse abitata a quel tempo; inoltre esso ci consente di capire che i (quidam alii, qui nec Gallici, nec Provinciales existunt", di cui parla il documento del 1274, erano proprio questi "homines terre Odogrilli" (Dirillo), che non furono compresi tra le universitates di quel privilegio perchè facenti parte di un casale che era stato infeudato al francese Bertrand de Artus; questo fatto toglie ogni fondamento anche alla tesi sostenuta da uno storico di Piazza Armerina, secondo cui la parte orientale del territorio assegnato ad Eraclea appartenesse ai Piazzesi, che non avrebbero molestato i nuovi coloni perchè lombardi come loro, in quanto l'espressione "nec Gallici, nec Provincialest" del documento del 1274 si riferisce ai soldati di Carlo d'Angiò, che gli abitanti di Eraclea-terranova (Gela) si fanno scrupolo di escludere dal reclamo.
Essi si difendono dalle accuse degli Eracleesi sostenendo che il territorio rivendicato era "de tenimentis et territoriis terrarum eorum", ma è da sottolineare il fatto che né essi né i ricorrenti facciano alcun riferimento a documenti precedenti, e in particolare ad un presumibile diploma federiciano di delimitazione del territorio di Eraclea-Terranova: si può ammettere che a distanza di soli quarant'anni esso sia andato smarrito e addirittura se ne sia perduto il ricordo, o bisogna ipotizzare che un tale documento non esistesse e che Federico II si sia limitato ad assegnare a ciascun colono il lotto con il diritto di coltivarlo (ius arandi), mantenendo al demanio le terre circostanti e lasciando ai nuovi coloni tacitamente la possibilità di servirsi di esse per pascolarvi il gregge ed altri usi comuni ( ius pascendi, lignandi etc. )?
Non è possibile in questa sede dare risposta a un tale quesito, che investe, tra l'altro, il problema generale dell'assetto giuridico che l'imperatore svevo dava alle sue nuove fondazioni, ma non possiamo fare a meno di notare, intanto, che dal documento che stiamo esaminando risulta che i tre commissari (il milite Alberico de Fratecore, il giudice Bernardo Salliant e il maestro Rayneri de Benedictis) inviati dal Vicario Generale con il compito di indagare "sicut tenimenta, territoria et pertinencia cuiuslibet terrarum ipsarum per fines et terminos protendebant tempore condam domini Friderici, olim imperatoris romanorum preditti, usque ad eius obitum et usque ad felicem adventum domini regis nostri", verificarono personalmente e accuratamente le pertinenze di tutte le terre interessate servendosi, non di prove documentarie, ma della testimonianza di "homines terrarum ipsarum seniores et fideliores et omni suspicione carentes"; i commissari riferirono il risultato della loro indagine al Vicario il quale, convocati i rappresentanti di tutte le comunità circostanti, alla presenza dell'unico intervenuto Baiamonte d'Eraclea, ambasciatore della città, definì una volta per tutte ;"tenimentum, territorium et pertinencia ditte terre Heraclie", consegnando copia della sentenza al rappresentante della città, che qui riportiamo integralmente:
"Ab occidente videliet, litore maris, a fogia fluminis Burgij (dalla foce del f'iume di Burgio, oggi Comunelli) descendentis a Butera et adscendentem per flumen flumen ad viam qua itur la licata usque Calatagironem, deinde vadit per viam viam usque ad flumen Dissueri (oggi fiume Gela) quod descendit de Platia, deinde descendit per flumen flumen usque ad districtum Rocce (passo della Rocca (?), et de inde per cristam cristam vadit usque ad viam qua itur de Platea versus Heracliam ed descenditur per viam usque ad petram que dicitur de fícu, et a petra ipsa descendit per vallonem usque ad supra dictam viam Licate que vadit versus Calatagironem et per viam illam vadit ad flumen Langeurie (fiume di Cimia?) et per flumen illud tenditur usque ad domum que dicitur la casa de comite, deinde transit flumen quod venit de Calatagerone (fiume Maroglio) et tendit usque ad mandram que dicitur Vaccarie, a qua itur desuper ecclesiam Sante Barbare usque ad cristiam et per cristiam cristiam tendit ad viam qua itur versus Terranam, deinde vadit per viam viam ad flumens flumen vetus (oggi Dirillo) predicti casalis Terrane, quod flumen vadit usque ad mare, et de inde per litus maris continuatur ad predittam fogiam fluminis Burgij".
Dati i cambiamenti di denominazione intervenuti durante tutti questi secoli, non è possibile identificare tutte le località indicate, ma pare che la superficie delimitata comprendesse non soltanto le terre burgenziatiche, su cui gli Eracleesi esercitavano il diritto di arare (ius arandi) e che naturalmente si trovavano nella piana, negli immediati dintorni del centro abitato, ma anche le vaste aree incolte comuni che si estendevano al di là di esse e su cui i membri della comunità gelese avevano avuto concesso il diritto esclusivo di pascere, far legna, ecc. ( ius pascendi, lignandi etc. ); tali terre fino al XVI secolo furono chiamati boschi, e occupavano tutte le zone collinari d'oriente e d'occidente, come Marina, Rizzutto, Priolo, Spinasanta, Feudo Nobile, Settefarine, Castelluccio.
Le terre assegnate ai novi habitatores, quindi, erano tutte terre del demanio regio, comprese tra quelle già concesse agli abitanti di Butera, Grassuliato, Caltagirone e Ragusa, e si estendevano per circa 17.500 salme dell'antica misura, di cui 7.850 circa nella piana propriamente detta e il resto in collina, corrispondenti esattamente alla superficie attuale del territorio comunale di Gela (27.730 ha) e, quasi a ribadire la demanialità di tutto il territorio, i successori dell'imperatore svevo in seguito, quando gli abitanti di Eraclea si ridussero a così pochi da non potere più controllare tutto il territorio, concessero in feudo a singoli vassalli alcune delle terre su cui essi avevano esercitato solo lo ius pascendi salvo poi ad essere riunite più tardi al territorio originario della città.
E' il caso, in particolare, del feudo di Mautana che in data non precisata fu concesso "cum quotam fundaco ac vinea ac alis pecis terrarum" al palermitano Pietro di Cannariato, che non sappiamo che parentela avesse con Luca Cannarioto, capitano di Terranova, che dal 1348 al 1360 si ribellò agli Aragonesi, come vedremo più avanti, e nel 1395 avendo anche Pietro tradito gli Aragonesi, fu assegnato dai re Martino e Maria ad Antonio de Perlaxo, secreto di Terranova, "in compenso di tre schiavi che a nome della regia Curia Pietro de Planella aveva ricevuto da Giovanna moglie di Francesco de Rosa"; estintasi la famiglia dei Perlaxo, era tornato a far parte del territorio di Eraclea, di cui il catalano Peire de Planell era stato infeudato nel 1393, e ne aveva seguito il destino feudale fino a pervenire nelle mani di don Carlo d'Aragona.
La stessa cosa si può dire del feudo e del castello di Castelluccio, che nel 1364 fu concesso dal re Federico III d'Aragona a Perrello de Mohac di Caltagirone, che nel 1422 troviamo infeudato dal re Alfonso insieme a Terranova a Ximenio de Corrella, ma che non appare più nel diploma del 1453 con cui veniva investita del territorio di Terranova Beatrice d'Aragona, i cui eredi possedettero feudo e castello, sicchè è da ritenere che già da allora aveva cessato di essere considerato feudo autonomo.
Non sappiamo, invece, allo stato attuale delle ricerche, come e quando pervenne al Convento di S. Maria di Messina il feudo di Manfria, che una bolla di papa Pio IV del 1562 autorizzava a concedere in enfiteusi a don Carlo d'Aragona, che subito dopo (3 dicembre 1565) si affrettò a farsi donare dall'università di Terranova lo ius pascendi che su di esso spettava agli abitanti della città, per averne la totale disponibilità.

mercoledì 25 marzo 2015

A tutte le aziende che si occupano di "interior design" la Regione Siciliana sta organizzando un evento per la valorizzazione delle produzioni locali. Per maggiori informazioni "Fiera Internazionale dell'Interior Design"

lunedì 23 marzo 2015

articolo scritto da Giuseppe La Spina

Immagine: "Eracle piantatore di colonne"
Così scriveva lo iudice Guido delle Colonne: “Onde si disse che Ercole per ricordanza della sua memoria ficcò le colonne in una parte di Cicilia, cioè dalla parte di Barberia; il quale luogo ancora si chiama Colonnario e quella terra ch'era ivi per addietro si chiamava Erculea, ma corrotto il nome la chiamavano Eraclia […] Ed in quella terra Federico II, prencipe della Repubblica dei Romani e Re di Cicilia, fece edificare una Terra, considerando che il luogo era utile agli abitatori per lo suo sito […] e chiamarsi Terranuova”
Dalle parole di Guido delle Colonne, giudice di Messina, vissuto alla corte di Federico II, possiamo ricavare molte notizie e dati interessanti.
Innanzitutto possiamo affermare con certezza delle fonti che il territorio, prima dell'edificazione di Heraclea Civitas Antiquissima (secondo una denominazione in latino presente nei registri della chiesa di Roma ) ad opera di Federco II, fosse "disertato dai barbari" e che il nome utilizzato per identificare l'area fosse quello di “Colonnario” (Idrīsī) al quale si affiancava, secondo un'ipotesi del Guido, i resti dell'antica Eraclia (...ma corrotto il nome la chiamavano Eraclia). Della città greca di Gèla dunque, dopo XV secoli dalla distruzione, se ne erano perse le tracce, vi è inoltre già in questo autore l'accostamento del nome Terra Nova ("Terranuova") a quello di Eraclea ("Eraclia")
Risultavano comunque presenti nei dintorni aree abitate che facevano capo al principato di Butera, come ci descrive Muhammad ibn Idrīs al-Sabti detto anche Idrīsī geografo di corte al tempo di Ruggero II Re di Sicilia:
"Da 'Iblatasàh (secondo alcuni Piazza Armerina) viene il Nahr' al asl (fiume del miele, oggi fiume Gela) . Esso bagna la parte occidentale del territorio di 'Salìatah (Grassuliato) e mette foce a dodici miglia da Manfria col nome di Wàdì as Sawarì (Fiume delle Colonne da cui Dissueri)".
In questa breve traccia possono essere recuperate numerose informazioni:
1) Vi era un'area abitata denominata Manfria a dodici miglia dal fiume delle colonne
2) Le fonti parlano di un fiume delle colonne e non di una Calat (città)
3) Si fa riferimento ad una serie di strutture templari (colonnario) che appartenevano al periodo greco
4) Nel periodo normanno sulla collina dove erano conservati i ruderi dell'antica città greca di Gèla non vi era un insediamento abitato.
E' possibile dunque affermare che le testimonianze di Guido delle Colonne e di Idrīsī concordano: "la collina su cui persisteva la città greca di Gèla non venne più abitata dopo la distruzione del 282 a.C. ad opera dei mamertini, confermando ancora una volta la discontinuità storica tra la città greca e quella medievale, le quali condividono la medesima posizione topografica, laddove la città di Federico II sfrutta gli assi viari dell'antica metropoli greca, ma dove non persiste una unità continuativa di insediamento".
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